Sambuci
Sambuci
L'origine di Sambuci è legata, come quella di molti altri paesi della valle dell' Aniene, all'affermarsi dell'ordine Benedettino nel Lazio e in particolare alla storia dell'abbazia Sublacense. La prima notizia documentata di un insediamento nella zona in cui oggi sorge Sambuci è infatti il General Privilegio con cui il Papa Nicolò I confermava all'abate Leone di Subiaco tutti i beni del monastero e tra questi anche "Sambucicum ecclesia sancti thomae.in desertis posita". Il privilegio è collocabile tra 858 e 867 d.c., anni del pontificato di Nicolò I.
La stessa citazione è riportata nel General Privilegio di Gregorio V all'abate Pietro, del 28 Giugno 997 d.c. . In un ulteriore documento del 971 d.c., che ratifica una permuta avvenuta tra gli abati Leone di S. Cosimato, Damiano di Cava, e Giorgio di Subiaco, troviamo menzionato il Fondum Sambuculum. Sambuci infatti passò per alcuni anni tra i possedimenti del primo, interrompendo così la continuità dei territori Sublacensi che arrivavano fino alla riva destra del torrente Fiumicino, confine Ovest del fondo.
Per ricostruire tale continuità i due abati firmarono un atto alla presenza di Amizone, Vescovo di Tivoli, e delegato del Papa: Leone cedette il Fundum Sambuculum, ubicato, in territorio tiburtino a circa sette miglia da Tivoli con terre, campi, prati, alberi da frutta e con edifici, antichi adiacenti ad un colle, torrenti e fondi, ed in cambio ottenne il fundum lucianum. A riportare notizie del Fundum Sambuculum tra i possedimenti dell'abbazia sono ancora le cronache Sublacensi del 1051 d.c. e un iscrizione del 1052, nel chiostro Gotico di S. Scolastica, posta dall' abate Umberto in ricordo dell'edificazione del campanile che riporta infondo i nomi dei paesi controllati dal monastero. L'ultimo documento a confermare questo legame è la grande bolla pontificia di Clemente III del 1189.
Tra il XII e XIII secolo la valle dell'Aniene venne segnata dalle incursioni dei Tiburtini dei Campani, delle truppe di Federico Barbarossa (1174 distruzione di Agosta, Canterano e Rocca di Mezzo) e di Corrado di Antiochia (fine del XIII sec.) impegnato nelle guerre contro lo stato Pontificio. E' probabile che per scopi difensivi gli antichi edifici di Sambuci assunsero l'aspetto di un nucleo fortificato ed è verosimile che in tale periodo, inseguito a una di queste incursioni, il casale-fortezza e il feudo passassero sotto la dominazione della casa di Antiochia. A testimonianza di ciò rimangono una lapide, conservata nell'atrio del castello che fa menzione della sepoltura di alcuni esponenti della famiglia e un documento degli archivi Vaticani dal quale si apprende che nel 1466 i castelli di Sambuci e Saracinesco passarono ancora in eredità rispettivamente a Giovan Francesco e Mattia, figli del nobile Pietruccio di Antiochia.
Nella Prima metà del 400 probabilmente anche i Colonna furono a Sambuci, ma non sappiamo con quale ruolo.
Del loro passaggio rimane una lapide (sempre nel castello) che ricorda la sepoltura della sorella di Papa Martino V e uno stemma di famiglia sulla parete esterna di uno stabile in via dello Scontrone.
Dal XVI sec. in poi la storia di Sambuci si identificò sempre più con quella del suo castello che con casupole e terreni passò, con il benestare della chiesa di Roma, sotto il governo di numerose famiglie nobili laziali fra le quali anche i conti Merei, dichiarati eredi da Maria di Antiochia, figlia di Giovan Francesco.
Alla fine del 500 per decisione della Sacra Rota il Feudo passò dai Merei agli Zambeccarri, signori di Arsoli, per essere quindi affidato dallo stato pontificio, intorno agli inizi del 600 alla nobile famiglia romana degli Astalli che governarono il piccolo paese per circa 150 anni con il titolo di Marchesi.
Tra i membri di questa famiglia si distinsero il cardinale Camillo Astalli e suo fratello Tiberio, vissuto a Sambuci alla metà del 600.
L'avvento degli Astalli portò una ventata di nuovo: Camillo e Tiberio operarono restauri per migliorare anche alcune interessanti opere architettoniche che diedero un nuovo assetto al paese e avviarono il processo di ampliamento intorno al nucleo medievale. Nella seconda metà del 700, quando si estinse la linea diretta della famiglia, il feudo e il suo castello furono per breve tempo di un certo Giuseppe Compagnoni Marefoschi, per poi passare ai Piccolomini.
Nel 1848 il barone Piccolomini lo lasciò in eredità alla moglie, baronessa Elisabetta Maccarini, quindi nel 1865 da questa giunse a sua nipote Laura, a sua volta nipote del marchese Theodoli. Alcuni anni dopo il castello fu affidato al Sig. Domenico Trinchieri di S. Pietro Romano. Nel 1878 gli atti notarili lo vogliono acquistato definitivamente da Don Girolamo Theodoli, figlio della marchesa Laura. I Theodoli, ultimi nobili a Sambuci e signori anche di Ciciliano e S.Vito Romano, incentivarono il lavoro nei campi e promossero la costruzione di mulini per l'olio e per il grano, nominato Rodolfo Rinaldi quale amministratore delle loro proprietà. Vittorio Emanuele III, con un decreto regio del 1926, riconobbe il titolo di marchese di Sambuci a tutti i primogeniti discendenti da Alberto, figlio di Girolamo Theodoli. Alberto entrò in possesso del feudo nello stesso anno della morte del padre e il castello svolse per la famiglia il ruolo di vera e propria residenza di campagna. Nel corso degli anni, mentre il feudo passava di mano in mano, il paese si ampliava e la popolazione continuava a vivere di agricoltura e pastorizia, appena sufficienti a coprire il suo fabbisogno e a pagare quanto dovuto ai signori di turno.
Tra il primo e il secondo conflitto iniziò così il fenomeno dell'emigrazione che vide molte famiglie trasferirsi a Roma in cerca di occupazioni più sicure e case più confortevoli, per fare ritorno in paese solo d'estate. Tra il 1943 e il 1944 Sambuci subì l'occupazione delle truppe Tedesche che si stanziarono nel castello, nascondendo nel parco i carri armati provenienti dal fronte di Montecassino.
Nel dopo guerra Sambuci si avviò lentamente verso una moderna vita comunale, l'emigrazione rallentò per cedere il posto al pendolarismo. Negli anni 60 le proprietà dei Theodoli furono vendute da Nicolò a una società immobiliare per essere riacquistate dall'amministrazione comunale solo trenta anni dopo nel 1991.
Siti di Interesse Storico-Religioso

CASTELLO THEODOLI
La storia di Sambuci è strettamente legata al suo Castello, la cui costruzione nelle forme attuali è avvenuta in varie fasi tra il XIII e il XVII secolo. Riconosciuta ufficialmente nel mese di Gennaio 2025 come DIMORA STORICA, rappresenta per il paese un vanto assoluto dal punto di vista storico, culturale, artistico. E’ nel periodo in cui il feudo divenne di proprietà del Cardinal Camillo Astalli, nel XVI secolo, che il Castello, in occasione della ristrutturazione, assunse l’aspetto di villa signorile. In questa occasione fu allestito un elegante giardino (Villa Theodoli) e un’elegante loggia in stile barocco.
Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo fondata dai benedettini e anticamente dedicata a San Silvestro. Restaurata nelle forme attuali nel xvii secolo, presenta affreschi e arazzi di importante valore artistico e custodisce, sotto l’altare, l’urna con il corpo di San Celso, martire, protettore del borgo, qui traslato nel 1661.

Chiesa di Santa Croce
La chiesa Santa Croce piu’ comunemente chiamata chiesa “del Borgo”, e’ originaria del 1662, come da iscrizione dedicatoria del 1662. Il portale in travertino romano, fu disegnata dal Cardinal Camillo Astalli durante le sistemazioni urbanistiche del seicento. Lo stemma di famiglia e’ ben visibile sul portone di ingresso della facciata. Sul lato destro di quest’ultima si trova un piccolo campanile che termina con una finestra ovale di stile barocco. L’interno ha una navata unica adornata da due tele, una raffigurante San Giuseppe, l’altra la Madonna del Carmine.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie si trova al di fuori del borgo, detta anche della santissima vergine della nativita’ ed e’ certamente una delle chiese di sambuci piu’ degne di essere ammirate. di origine sei-settecentesca e’ in totale stile romanico a mattoni, la cui facciata presenta grandi lesene e un frontone triangolare in cui e’ inscritto un altro semicircolare movimentandola. ha un’unica navata con pavimento in cotto ai cui lati si si aprono due cappelle in stile barocca. in una teca nei pressi dell’altare centrale e’ custodito un busto raffigurante la madonna delle grazie. due porticine ai lati conducono al coro ligneo del xix secolo. alcune lapidi nel terreno testimoniano l’uso del sotto pavimento per il seppellimento dei defunti del paese. tra le tombe spicca quella del marchese tiberio astalli, deceduto nel 1683